Léo Ferré - PROLOGO DI LIBRO BENOIT MISERE

PROLOGO DI LIBRO
"BENOIT MISERE"

Léo Ferré
Traduzione di Giuseppe Gennari
Editore Gianni Maroni


Ho cercato a lungo l'almanacco che mia madre nascondeva nel buffè per le crêpe della Candelora, crêpe farcite di monete d'oro che - lei voleva farcelo credere - ci avrebbero fatto contare denaro tutto l'anno.

Quell'almanacco che custodiva le mie vite anteriori , l'ho aperto qualche volta tra alberi immolati, sotto le loro screpolature rigonfie ; per le vie di città defunte, la notte, sull'asfalto lucente dove le case brillano rovesciate come donne offerte e lubriche;
o vicino al mare, sulle alghe momentaneamente deposte, un istante prima che torni l'onda, nell'attimo in cui esse non palpitano più e non restano loro che lacrime di sale; sotto la lampada familiare, infine, davanti alla pagina che si sporca della mia memoria, sul nastro tragico della mia macchina da scrivere che alita delle equazioni digitali.

Scrivere non è niente. Osare farlo implica questa memoria moltiplicata e mille volte anonima, questa voce interiore, risonanza di mille altre voci che gridano dietro le porte dell'assurdo, per alcuni, dell'eternità, per tanti altri. La vera letteratura è impersonale e sparsa dappertutto, fuori dei libri. Cei viene dal silenzio.

Per molto tempo ho immaginato che pensare fosse nobile cosa. Non pensare più è essere dio, qualcosa di freddo, e le biblioteche non sono frigoriferi. I libri imputridiscono, come la carne. La sintassi li indispone e le parole li rigonfiano. Ci vorrebbero dei libri vuoti, dei diagrammi di libri dove tutti gli alfabeti invertiti di tutte le lingue del mondo danzassero la Danza davanti all'Arca. Li, Caraibico e Sanscrito si compenetrerebbero sotto l'occhio Ciclope della vocale O di Rimbaud. Frasi oscenamente impiccate tra due asterischi di verbo, il participio passato che legge tra le mani del complemento oggetto, la preposizione che sbava sulla soglia dell'avverbio, Bossuet siamesemente avvitato a confucio, Aristotele con gli occhiali spalancati sulla Serie Nera, Sartre in un bordello con Bergson a misurare il peso di cogitazione di un clitoride tariffato, France-Soir a rimorchio dell'Ecclesiaste, tutto - rovesciato, maledetto, contemporaneo o no, con le cose che rinascono dalle loro ceneri, con il nulla che risale la gola del tempo e vomita il Nulla - tutto allora, nei libri vuoti, avrebbe il gusto di me, della mia carne, della mia folgore, del mio seme.

Léo Ferré - PROLOGO DI LIBRO BENOIT MISERE

Non esisto che per meglio estasiarmi davanti a tutto cio che invento : quando vedo un pioppo, sono io che lo creo sul momento, e muore non appena muoio a lui. Quella donna salita poco fa nella camera del suo amante a Chicago, non ci è salita che retroattivamente, nell'instante preciso in cui io l'ho voluto, sotto il nastro battuto della mia tastiera quando questa spalanca le forbici per incidere nel mio tessuto di carne e di ombra. E l'ambulanza che passa per strada nel momento in cui urla la sirena, non ci è passata e non ci passerà : l'uomo ferito non morirà. Del resto, è indenne : la macchina che gli ha rubato la mano all'officina non è ancora in movimento. Solo quando lo vorro la corrente darà sangue e vita a quella mirabile macchina che mi obbedisce molto meglio di quanto non mi obbedisca io. Il tempo degli uomini non esiste. Di vitale c'è il tempo della mia follia.

Sono stato cavallo con voce da mezzo-soprano e mi piaceva il gregoriano soltanto. Sono stato pacchetto di sigarette in uno scompartimento di non fumatori e valutavo le mie possibilità. Essere cicca, ecco il mio pallino : che restasse qualcosa di me, non soltanto del fumo, no, ma un cadavere etichettato, riconosciuto. Sarei stato volentieri cicca per l'eternità. Sono stato sorgente, con idee campestri e gusti sedentari... ma gli uomini hanno rifiutato la mia saggezza, mi hanno ingravidato ed eccomi persa nell'Atlantico, persa e ridicola, ma viva. Mi chiamo sorgente.

Léo Ferré - PROLOGO DI LIBRO BENOIT MISERE

Sono stato tram e mi sono immerso nella ferraglia, io che offrivo la predella solo agli innamorati, al capolinea, quando si grida loro giustamente : Capolinea! Sono stato lana su un dorso di pecora e finisco i miei giorni sul materasso di un mirabile artista che fa l'amore due, tre, dieci volte al giorno, mai con la stessa donna, sempre con me. E quando le stelle non si contano più - perchè ci vorrebbero troppi matematici esperti - quando i corpi si piegano sotto la rabbia amorosa e la ragazza grida il piacere nella sola lingua possibile al mondo, allorché si spalancano le sole porte di soccorso che non cigolano mai, allora mi riposo nel mio golfino di lana.

Sono stato carta da pacchi. Avevo un debole per quelli rettangolari non troppo grandi che mi lasciavano liberi i gomiti. La cordicella mi conteneva da tutti i lati, come una donna che tiene le calze tirate su in alto senza irritarsi la pelle. M'importava poco che cosa avrei dovuto contenere : mi stava bene tutto... Sentirmi adorabilmente incastrato, intrappolato da canapa o seta, era la mia sola preoccupazione. Sono stato la Prima Pagina di un grande quotidiano della sera, con l'imprevedibile e il provocatorio che cio comporta. Ho annunciato la guerra del ' 14, l'arresto di monsieur Landru, la svalutazione di monsieur Poincaré, e par farla corta, non dico altro. Quel che c'era di notevole nel mio caso era l'astrazione che personificavo, non il marmo, né certamente la carta, ma solo il concetto. Peraltro, sono ancora la Prima Pagina. Riesco a violentare senza esistere.
Interessante, la cosa!

Léo Ferré - PROLOGO DI LIBRO BENOIT MISERE

Sono stato Rockefeller, tutti i Rockefeller ; ero già Rockefeller sotto il regno di Hammurapi, restando inteso che senza codice mai lo sarei stato. Sono stato binario di ferrovia, uno dei primi, quelli che guardavano passare le vacche. Avevo il senso della parallela e qualche chilometro da difendere. Solo, senza aiuto. Poi, un bel mattino, sono partito sottobraccio a monsieur Lobatchevski e sono diventato geometria non euclidea. Sono stato ruffiana in un bordello di Algeri, e sulla croce piantata come un membro virile nel no life's land si puo leggere : "Qui giace madame Ducoudrait, rapita all'affetto dei suoi... Pregate per lei!"

Sono stato, sono stato... sono tutto... sono te, passante del Boulevard des Italiens, con la nefrite che ti tortura. Sono te, signorina del Caffè della Piazza, te di cui invento la giarrettiera, pazientemente sistemata stamane, quando, frettolosa, mettesti un ventino per tirare la calza sulla gamba infreddolita perché si era rotto il bottoncino di quel meccanismo prezioso. Sono te, mendicante dei supplizi, con la tua gavetta a sonaglio. Sono te, signor ministro del lavoro che sudi, la notte, non so quale umido rimorso che ti rende fatuo, preciso e infelice. Sono te, soldato-zainetto, sono te, cane da cieco, te, cane da signore. Sono cieco e signore e mi cavo quel che di occhi mi resta in bocca, nel naso, nelle orecchie e in mano... e sono scrittore soltanto. Scrivo...

Page suivante